Cosa si intende quando si parla di obsolescenza programmata? Chiamata anche obsolescenza pianificata, si tratta di una strategia che mira a definire il ciclo vitale di un prodotto così da limitarne il funzionamento a un periodo prefissato. Si tratta di definire il ciclo di vita di un prodotto che, passato quel dato lasso di tempo, diventa inservibile o risulta semplicemente obsoleto se confrontato dal consumatore con i nuovi modelli. L’impressione che si ha è sempre che i nuovi prodotti siano di molto migliori rispetto ai vecchi, anche se la realtà prova che sono poco o addirittura per nulla migliori dal punto di vista funzionale. Vediamo ora nel dettaglio cosa comporta l’obsolescenza programmata e qualche esempio per capire come funziona e perché viene attuata.

Obsolescenza programmata: come funziona

Si tratta di un concetto semplice che però non è troppo evidente. I produttori decidono di stabilire la durata della vita di un oggetto che, in realtà, dovrebbe essere determinata dall’usura dello stesso e non da una precisa intenzione di chi lo produce. Questo modo di produrre è frutto dei nostri tempi: prima del ‘900 gli oggetti non potevano possedere l’obsolescenza programmata poiché erano prodotti quasi come pezzi unici, in modo artigianale o semi-artigianale e il rapporto tra produttore e consumatore era a tu per tu e basato, in linea di massima, sulla fiducia.
Gli oggetti erano prodotti sfruttando una grande quantità di tempo e di lavoro artigianale, cosa che faceva assumere loro un grandissimo valore al di là della materia prima utilizzata. Tutto era realizzato, quindi, per durare e il fatto di durare era nella logica stessa delle cose, degli oggetti. Nell’ultimo secolo questo concetto si è ribaltato come risultato dello sfrenato consumismo, arrivando ad avere una mentalità di produzione e consumo talmente frenetica che l’usa e getta è entrato a far parte ampiamente della nostra società. Da qui nasce l’obsolescenza programmata.
La Treccani da una precisa definizione di obsolescenza programmata: si tratta di un processo che “che provoca nei consumatori esigenze di accelerata sostituzione di beni tecnologici o appartenenti ad altre tipologie merceologiche. Tale processo viene attivato dalla produzione di beni soggetti a un rapido decadimento di funzionalità”, un decadimento voluto che viene identificato come una precisa strategia produttiva che stimoli il consumismo spinto.

Obsolescenza programmata: esempi

L’obsolescenza programmata viene utilizzata per produrre i tipi più disparati di merci, dai prodotti tecnologici agli elettrodomestici. Qualche esempio? Possiamo parlare di lampadine, di stampanti e di smartphone.
Quella di cui si discute maggiormente è senza dubbio l’obsolescenza degli smartphone. Essi, così come gli antenati telefoni cellulari, sono tra gli oggetti più colpiti dall’obsolescenza programmata.
In particolare sono Apple e Samsung ad essere state accusate dall’Antitrust di avere, tramite gli aggiornamenti dei software, provocato gravi disfunzioni e ridotto in modo significativo le prestazioni dei telefoni smart. Il risultato è quello di costringere il consumatore a comprare un nuovo cellulare convincendolo a rivolgersi alla medesima azienda.
Il Garante avrebbe messo su l’ipotesi che si tratti di una precisa strategia che, inviando di continuo notifiche senza precise informazioni annesse, porti il consumatore a scaricare aggiornamenti che intaccano l’efficienza e le funzionalità dello smartphone.
Il sospetto è diventato ancora più rilevante constatando il fatto che, una volta aggiornato, non c’è la possibilità di tornare indietro al precedente software se lo si desidera.
Questo comportamento sarebbe stato adottato sia da Samsung, col modello Note 4, che da Apple con l’iPhone 7.
Nell’atto di fare l’aggiornamento, quindi, le informazioni che mancavano al consumatore erano, per esempio, che lo stesso potesse comportare “dei possibili inconvenienti”.